Giovanni D.
by Camilla M.
Nome: Giovanni D.
Sesso: Maschile
Luogo di residenza: Carbonia
Luogo di nascita: Cagliari
Nazionalità: Italiana
Quando e dove è nato?
Nato a Cagliari il 18.12.1940,in una famiglia nucleare composta solamente dai suoi genitori e da suasorella, nata nel 1950.Il padreeramilitare della guardia di finanza, ma in famiglia non si parlavatanto eNino non sa perché il padre fosse finito alavorareCagliari, o in quali circostanze avesse conosciuto la mamma,visto chelei abitava all’altro capo della Sardegna,a Santa Teresa di Gallura.Nino nacquein un periodo difficile per la storia della Sardegna e di Cagliari inparticolare:nel febbraio del 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, la Città di Cagliari subì dei terribili bombardamenti, quasi tutto il tessuto urbano venne distrutto, e circa 50-70mila abitanti abbandonarono la città e si trasferirono altrove. Isuoi genitori non parlarono mai di quel periodo, gli unici ricordi che Nino conservadeltrasferimento da Cagliari a Santa Teresa di Gallura è “l’immagine sbiadita”, come la definisce lui, di un camion militare a bordo del quale aveva viaggiato.Cambiò residenza più volte durante l’infanzia, probabilmente per via del lavoro del padre: prima a Santa Teresa, poi a Cannigione, a Cala Gonone e infine a Carbonia, dove si trasferì nel 1948, quandoil padre divenne esperto tributario,una posizione prestigiosa per il periodo.
Gli chiedo a quale città siano legati maggiormente isuoi ricordi di gioventù.
Mi racconta che i suoi ricordi più vecchi sono legati a Cala Gonone, che oggiè un importante centro turistico, ma all’epoca era un piccolo paesino che contava solo la caserma della Guardia di Finanza e pochissime case, molte delle quali disabitateper la maggior parte dell’anno. Ricordo particolarmente il periodo estivo per la mancanza di acqua:allora si andava a prendere l’acqua con delle brocche nei pressi di una grande villa, laVilla dei conti Ticca, collocata su un’altura,dalle cui murascorrevadall’acqua e la gente ne approfittava per riempire le brocche.Nino ricorda di aver vissuto sempre da solo, a parte un’estate, quando incontrò una bambina, sua coetanea, parente dei conti Ticca, e giocava con lei a costruire delle casette di fango.
Non ricorda moltodella scuola, tra i pochiricordi legati aCala Gonone vi èquellodella mamma che gli insegnòa contare utilizzando le pietroline della spiaggia. Non ebbeun’istruzione di base adeguata, e gli anni della scuola a Carbonia furono difficili.Da subito dovette andare a lezione da un maestro privato per cercare di colmare le sue lacune in italiano e matematica.Non furono gli insegnanti della scuola quelli che riuscirono a trasmettergli più nozioni, ma quelli pagati dallo stipendio del padre, che ricorda con molto affetto, come don Brunetto, che gli impartivaripetizioni di latinonella vigna che circondava la Canonica,alla periferia di Carbonia.
Cerco di approfondire il racconto relativo all’adolescenza, i primi innamoramenti, l’incontro con la moglie, il matrimonio.
L’adolescenza di Nino è segnata dall’incontro con un pittore disabile, costretto in sedia a rotelle, che realizzavai ritratti delle persone che passavanodavanti alla sua porta. Nino rimase affascinato dalla figura di questo ragazzo, e decise di presentarlo al suo professore del liceo. Si creò attorno a luiun gruppo di persone che incominciarono a frequentarlo perché attratte dalla sua arte; tra queste persone c’era anche un gruppo di giovani artisti che successivamente divenne il gruppo artisti “ASAC”, di cui Nino inizialmente feceparte come critico d’arte per dei giornali nazionali.Si trattò di un periodo molto interessante della sua vita, ricco di emozionie di conoscenze.Racconta anche di alcune esperienzenel campo dello sport e della gastronomia, quest’ultima durata dieci anni, durante la quale si occupò di promuoverel’immagine dell’Associazione Cuochi in Sardegna allo scopo di incoraggiare il turismo in entratain un’epocain cuil’Isola era poco conosciuta anche dai sardi stessi.Nel 1960ci fuanche l’incontro con la moglie:non si trattò di un rapporto semplice, la mamma di Nino era statasempre stata moltoprotettiva e gelosa nei suoi confronti elui non ebbe neanche il coraggio di raccontarle della sua relazione;chiese a sua sorella di intercedere per lui, perché–a differenza di Nino -aveva con lamamma un rapporto particolare, e fu proprio leia spianare la strada al successivo matrimonio.
Gli chiedo se anche nei confronti delle nipoti sua mamma abbia avuto un caratterecosì duro, e a cosa fosse dovuto.
Nino mi risponde che,anche dopo la nascita delle sue due figlie,la mamma non ha mai avuto un carattere particolarmente affettuoso, si limitava a dare alle nipoti dei piccoli doni.Ma con Nino non c’è stato mai uno scambio particolare. Nino ha vissuto gran parte della sua fanciullezza e adolescenza in solitudine, mi racconta che non sa come fosse il rapporto genitori-figli nelle altre famiglie e non può fare un paragone, ma ritieneche il loro non fosse un rapporto normale. Igenitori nei suoi confronti furono sempremolto autoritari, soprattutto la mamma, che aveva un carattere protettivo e morboso, in particolar modo dopo il trasferimento a Carbonia, inquanto era considerata unagrande cittàe i pericoli erano maggiori.Nino non poteva uscire di casa se non per andare a scuola e in parrocchia, ma racconta un episodio,quellavoltacherubò 500 Lire dal portafoglio della mamma,con cui acquistò un pallone; oggi, dopo tanti anni, si chiede come gli fossevenuto in mente. Nonostante fosse costantementemonitoratodalla madre, in quell’occasione Nino riuscì a rubare i soldi, allontanarsi di casa per raggiungere ungrande negozio al centro della città, e andare a giocare col pallone insieme a un gruppo dialtriragazzi. Il pallone non lo portò a casa, ma la mamma scoprì comunque il furto, andò al negozio e si fece restituire i soldi, poi lo picchiò.
Gli domando chifossein famiglia il genitore più severo, quello che prendevale decisioni principali sull’educazione dei figli.
La mamma era sicuramente più severa, anche perchéil padre trascorreva poco tempo a casa con loro, per via del lavoro e di altri impegni che aveva in campagna. L’educazione che venneimpartita a Nino fu un’educazione all’obbedienza: quando la mamma lo chiamava, Nino doveva rispondere “Comandi!”;era un’espressione del gergo militaresco che probabilmente aveva appreso dal padre, che faceva partedell’arma. Oggi, da genitore, Nino ritiene che per educare un figliooccorradargli molto affetto e aiutarloa crescere, ma luiqueste cose non le ricorda, lui è cresciuto solo.
Gli chiedo se, nella sua giovinezza, abbiaavuto dei rapporti stabilicon degli anziani.
Da bambino,l’unica figura di anziano con cui ebbea che fare fu ilnonno, a Cala Gonone. Faceva il calzolaio, non c’era un rapporto particolare. Nino spiega di essere parte di una generazione di bambini che non ha potuto conoscere la fanciullezza e la spensieratezza, a causa della guerra, che ha generato pesantitraumi su tutta la popolazione, in particolare sui bambini. “Quello che di positivo abbiamo ottenuto, ce lo siamo conquistati una volta che siamo cresciuti e siamo diventati uomini”.Le figure adulte con le quali ha avuto a che fare da ragazzo sono stati i suoi insegnantiprivati, come don Brunetta eProfessor Sebastiano Franchina, con il quale si era instaurato un rapporto di stima reciproca, e grazie ai cui insegnamenti divenne uno dei primi della classe. Quando successivamente divenne Presidente della sezione locale del Centro Sportivo Italiano conobbe un’altra figura importante, quella di don Diaz, che Nino ricorda come una personastraordinaria: con lui trascorse anni indimenticabili.Dopo il matrimonio, Nino passò lunghi periodia casa della suocera, con cui si era stabilitoun rapporto confidenziale e intimo,quasi materno, unrapporto che non riuscì mai ad instaurare con la sua madre naturale. Grazie alla famiglia della suocera, di Bortigali,che erauna famiglia molto numerosa, Nino conobbe gli affetti del mondo degli adulti.
Gli chiedo quale sia stato il suo rapporto, da adulto, con il mondo dei ragazzi, visto che ha lavorato come insegnante.
Iniziò a lavorare come insegnante quando era ancora uno studente universitario, aveva solo 20 anni,e inizialmente con i suoi studenti ebbe un atteggiamento severo, come quello che i suoi insegnanti avevano avuto con lui, un rapporto basato su una violenza che oggi non è più tollerabile.Il suo metodo di insegnamento cambiò dopo la lettura di un libro, “La scuola diBarbiana”di don Milani, che lo colpì profondamente. Con i suoi ragazzi lui ebbe sempre un rapporto di amicizia, sincero, cercava di avere comprensione per tutti e di dare a tutti i ragazzi la possibilità di esprimersi.
Gli domando a che etàè andato in pensione.
Non ricorda esattamente, aveva poco più di 60 anni, ma quando gli chiedo se gli manca l’ambiente della scuola mi risponde, senza pensarci un secondo, “Assolutamente no”, e mi spiega perché: ricorda con maggiore positività gli anni di insegnamento da non laureato; dopo la laurea scelse di insegnare in una scuola di un piccolo comune del Sulcis, Perdaxius, ma furono anni duri perché i ragazzi non venivano seguiti dai genitori, che se ne lavavano le mani. La maggior parte della classe era composta da studenticon gravi difficoltà. Mi dice di non aver vissuto,fortunatamente,l’epocadei cellulari a scuola, che iniziava a fare il suo ingresso tra i ragazzi durante i suoi ultimi anni di insegnamento, ma era ancora un prodotto di nicchia e non se ne faceva un uso esagerato e sbagliato come oggi.
Approfondisco il rapporto con la tecnologia, Nino usa parecchio il cellulare per informarsi e per comunicare.
Il suorapporto con la tecnologia è cominciatoattorno agli anni 90, lui insegnava e a scuola vennero organizzati dei corsi per l’utilizzo del computer, ma si trattava diuno strumento molto complesso da utilizzare. Quando nacque il sistema che si utilizza oggi, con Windows, allora le cose divennero meno problematiche. Nino ha sempre utilizzato il computer, tenne addirittura un corso di “alfabetizzazione informatica”ai suoi alunni, al termine del quale ogni studente dovette realizzareil suo sito internet. “Il miorapporto con l’informatica–mi raccontaNino –è un rapporto dicontinuo utilizzo e aggiornamento”. PerluiInternet è uno strumento di comunicazione e di promozione della cultura e della scienza, e lo spiega in riferimento alle attività che organizzaper la sua associazione, nata diecianni fa con il nome di “S’Ischiglia”, che in lingua logudorese significa letteralmente “sveglia”, ad indicareil momento in cui ci si deve svegliare e attivare per costruire qualcosa di positivo. Poi,strada facendo,è stata costituita l’Università Popolare del Sulcis, che con le sue attività si occupa di educazione permanente degli adultiecheper diversi anni ha organizzatocorsi di alfabetizzazione informaticaper gli anziani, ai quali i ragazzi insegnavano attività basilari per l’uso del computer.L’associazione gli è stata molto di aiuto perché gli ha permesso di allacciare nuovi rapporti e recuperarne di vecchi, sia col mondo dell’Università di Cagliari, sia con le scuole di ordine inferiore.
Qual è, secondo lei, il ruolo degli anziani oggi soprattutto nei confronti delle nuove generazioni?
I nonni sono figure importanti nelle famiglie, ma molte volte questefigurenon hannola possibilità di incidere granché nell’educazione dei giovani, soprattutto se nontrascorrono molto tempo insieme. Fa
l’esempio della sua famiglia, le sue due figlie e i suoi nipotini vivono lontano, ha da sempre un rapporto saltuario con i suoi nipoti, li vede a Natale e per le vacanze estive. Il rapporto con i bambini è molto limitato, perché non ci sono i tempi per intrattenere un rapporto particolarmente intimo. Questi bambini adesso hanno il cellulare, quando non stanno facendo i compiti stanno armeggiando il cellulare, e oggi questo strumentocrea molto distaccotra le persone, anziché unirle; il cellulare crea dei rapporti virtuali, disabituando le persone a quelli che sono i rapporti reali.
Cosa significa essere anziano nel 2020 e qual è il messaggio che vuole lasciarealle nuove generazioni.
Il contributo che una persona di una certa età può dare oggi, è aiutare gli altri anziani a sentirsi ancora utili cercando,dovepossibile,di fare anche qualcosa per i giovani. Con la sua associazione, Ninocerca di creare delle occasioni di incontro, anche virtuali. Tuttavia è molto critico nei confronti dei giovani, ritiene che le nuove generazioni sentano il bisogno dell’anziano.Oggi soprattutto, conla situazione generata dalCoronavirus,si è enfatizzata la notizia della morte di centinaia di anziani che “hanno fatto l’Italia”,però –denuncia Nino –“moltepersone si sono ricordate di questi anziani solo dopo che hanno tirato le cuoia negli ospizi,di come vivessero negli ospizinon ce ne siamo preoccupati prima, la società li ha completamente dimenticati. È tutta una generazione che sta scomparendo travolta dal coronavirus e della quale le nuove generazioni possono fare a meno[...] Siamo noi anzianiche cerchiamo disperatamente di stare aggrappati al presente, inventandoci degli escamotage –come l’associazione che ci siamo creati –per non essere dimenticati da una società di giovani che può fare a meno degli anziani”.Il messaggio che Nino si sentedi lasciare è quello di rivedere il problema delle case di riposo: è vero che l’aspettativa di vita oggi è aumentata, ese una persona riesce a vivere a lungo può essere utile agli altri, ma deve cercare di farsi spazio in una società nella quale l’anziano è emarginato: la casa di riposo deve essere vissuta come una casa aperta alla società, con gli anziani che entrano ed escono continuamentee che nella società hanno qualcosa da fare, anche attraverso i mezzi che l’informatica ci mette a disposizione. L’anziano deve poter comunicare col mondo, stare in contatto con la cultura. “Io la vedo brutta per noi anziani, dobbiamo cercarci un ruolo nella società, un ruolo che la società non ci attribuisce più, dobbiamo essere noi a farci spazio a gomitate”.