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Rosanna S.

rosanna

by Camilla M.

 

Nome e Cognome: Rosanna S.

Luogo di nascita: San Giovanni Suergiu

Data di nascita: 09.09.1953, 67 anni

 

Le chiedo di descrivere brevemente le condizioni di vita della sua infanzia, da chi era composta la sua famiglia, se ha ricordi della scuola.

Rosanna è nata in una famiglia di ceto medio composta dai soli genitori, tre figlie femmine –di cui lei è la più piccola –e un maschio. La sua casa era al centro del paese, vicino al municipio. Mi racconta la sua infanzia come un periodo molto sereno e giocoso, ricorda che ci fosse molta più socialità rispetto ad oggi: esistevano rapporti interpersonali molto forti, c’era un legame speciale tra vicini di casa, che si chiamavano zii anche se non c’era un rapporto di sangue. Quando arrivava il momento di trebbiare era una vera e propria festa per tutto il vicinato, Rosanna restava a casa dei suoi nonni anche tre giorni, era un’occasione per stare tutti insieme, non solo per chi andava ad aiutare ma per chiunque volesse partecipare.Ricorda positivamente anche il periodo della scuola materna con le suore: ci si divertiva a stare insieme e fare le attività più semplici, come lavare le scodelle della colazione o andare a pregare in cappella, erano occasioni di condivisione. “Oggi –dice Rosanna –per i bambini sarebbe una punizione”. La cappella allora piaceva ai bambini, era piccola e non a tutti era consentito andarci, dunque era molto ambita; ma solo chi si comportava bene poteva accedervi. Rosanna è stata educata alla religione cristiana: oggi fa la catechista e insegna la dottrina cristiana ai suoi bambini, ma ha un grande rispetto delle altre religioni. A questo proposito fa una riflessione, mi dice che il contesto culturale in cui un individuo nasce ha il potere di influenzare la sua fede. Ricorda un tema fatto da Paolo, suo figlio maggiore, alle superiori: la professoressa si complimentò con il ragazzo per il contenuto del compito, Rosanna invece si risentì molto per un pensiero contenuto nel tema che non riusciva a condividere. La frase era questa: “Se fossi nato in un paese africano molto probabilmente sarei musulmano”.

 

Attualmente lei si occupa di volontariato tramite la Caritas, prepara e consegna numerosi pacchi alimentari alle famiglie e alle persone che hanno bisogno di aiuto. Molte di queste sono ragazze musulmane, fortemente fedeli alla loro religione ma, non per questo, meno rispettose di Rosanna e del suo credo: ne è una dimostrazione il fatto che in occasione di festività cristiane come Pasqua e Natale, queste donne le facciano gli auguri, perché hannorispetto per la loro amica Rosanna e riconoscono che lei questi giorni abbiano un significato importante. Quando Rosanna nell’ambito della sua attività di volontariato fa qualcosa per aiutare queste ragazze, loro vogliono sempre ripagarla, allora lei suggerisce a queste ragazze di sdebitarsi facendo una preghiera ad Allah, il loro Dio. “Perché-mi dice -era vero quello che sosteneva Paolo: loro mi dicono che
io ho il dio cristiano, loro hanno Allah, però alla fine è lo stesso, Dio è unico, lo chiamiamo in modo diverso solo perché abbiamo avuto una cultura diversa”.

Le chiedo di raccontarmi come è stata la sua adolescenza, se sia stata soddisfacente o se immaginava che le cose andassero diversamente.

Mi dice che, senz’altro, si immaginava un futuro diverso. Da ragazza era iscritta all’Università, frequentava la facoltà di medicina, ma non ha mai completato il suo percorso di studi. “Ma al di là di questo –mi dice –per me ogni giorno è stata una domenica”. Una metafora che dà l’idea di quanto Rosanna sia felice della sua vita e ami la sua famiglia, nonostante le sue aspettative fossero diverse. Conosceva suo marito già da tempo, sebbene si siano sposati da grandi, e frequentava ancora il corso di medicina quando sua suocera ebbe dei problemi di salute; la malattia della suocera e la sua volontà di avere presto dei figli la portarono a prendere la decisione di abbandonare gli studi. Aveva già fatto l’internato (il tirocinio), frequentava l’ultimo anno e anche la tesi era già pronta (si occupò di analizzare una casistica sulle tiroidi in Sardegna, aveva studiato 600 casi). All’inizio della sua carriera universitaria pensava di voler fare il pediatra, poi l’esperienza dell’internato all’Oncologico le fece cambiare idea: la pratica nel reparto di chirurgiae le sale operatorie la fecero innamorare di quel ramo della medicina. Mi dice una frase che credo la rappresenti molto, per via dell’analogia con la religione: “Se la medicina è una chiesa, la chirurgia è un tabernacolo” perché, mi spiega subito dopo, mentre gli altri rami della medicina ti suggeriscono delle cure, la chirurgia interviene subito sul male, lo rimuove. Dal modo in cui mi parla e mi coinvolge percepisco tutta la sua passione per la medicina. “Sono sicura che stanotte sognerò di essere lì, insala operatoria”. È bello ascoltarla mentre si racconta, il suo entusiasmo è coinvolgente. Ha coltivato questo suo interesse, nel piccolo, perché in paese si occupa di fare iniezioni e medicazioni in maniera assolutamente gratuita alle persone che ne hanno bisogno.Rosanna trasmette l’amore e la passione per quello che fa anche ai bambini del catechismo, a cui non parla solamente dei temi classici della religione, ma anche di tematiche quotidiane e di grande interesse, come le malattie, la sessualità, gli effetti devastanti delle droghe e del fumo, il bullismo. “Ho avuto dei ragazzi vittime di bullismo, ma anche bulli: e i bulli non si accorgono di esserlo [...] Sono argomenti che tratto con piacere, anche io imparo molto dai bambini”.

 

Le chiedo da chi venissero prese, in casa, le decisioni principali sulla famiglia e sull’educazione dei figli.

Mi dice che ha sempre riconosciuto maggiormente la figura di sua madre come educatrice: nonostante fosse più permissiva del marito, era anche quella che puniva i comportamenti sbagliati. L'educazione da suo padre l’ha avuta da grande. Ricorda solo due episodi in cui fu il padre ad arrabbiarsi con lei: il primo è stato quella volta che, da bambina, raccolse una caramella da terra e prima ancora che lui riuscisse a fermarla, lei la aveva già mangiata. Il secondo episodio riguardò una fattura: Rosanna era piccola, non sapeva ancora leggere; la sua famiglia era proprietaria di un negozio di materiali elettrici, e un giorno, di fronte a un bel fuoco, decise ingenuamente di gettare un pezzetto di carta per alimentarne la fiamma. Si trattava, purtroppo per lei, di una fattura che ancora non era stata pagata.Aveva un buon rapporto con suo padre. Quando tornava dal lavoro, lei e Giovanna, sua sorella maggiore, stavano con lui egli raccontavano come era trascorsa la giornata. A differenza dei cugini, che si rivolgevano ai propri genitori dandogli del voi, loro avevano un rapporto molto confidenziale e più libero in famiglia.

 

Le chiedo se, oltre ai suoi genitori, abbia avuto rapporti importanti con i nonni o altre figure di adulti/anziani.

Mi dice che per un po’ di tempo visse con la sua famiglia anche zia Chiara, la sorella della madre. La mamma di Rosanna era molto piccola quando rimase orfana, aveva solo 4 anni, così sua sorella -che allora di anni ne aveva 15 –dovette fare da madre a lei e ai suoi fratelli, il più piccolo dei quali aveva solo 17 mesi. Nel momento in cui zia Chiara iniziò ad avere problemi di salute, la mamma di Rosanna non la lasciò sola e la accolse nella sua famiglia. Rimase a casa con loro per molti anni. Quando morì fu proprio Rosanna a lavarla e vestirla, nonostante avesse solo 15 anni. “Era l’ultimo atto d’amore che potevo fare per lei”. Ha un ricordo molto vago dei nonni paterni, mentre i nonni maternisono morti prima che lei nascesse e non li ha potuti conoscere. Come nonna aveva zia Chiara: quando era bambina, Rosanna pensava davvero che questa donna fosse sua nonna, e pianse tantissimo quando Pina, sua sorella maggiore, le disse che non era così.

Cosa pensavi dell’età adulta quando eri bambina e come la vivi ora? Cosa rappresenta per te questo momento della tua vita, a cosa ti dedichi?

Rosanna fa parte di alcune realtà associative e di supporto ai più deboli, come la Caritas parrocchiale. In parte mi ha già parlato di questa sua importante attività, del rapporto di fiducia che si instaura inevitabilmente con le famiglie e con le donne a cui lei presta il suo aiuto. Mi racconta delle ragazze marocchine a cui consegna i pacchi alimentari, dell’amiciziache ora le lega: una di loro ha insistito fortemente per regalare a Rosanna un oggetto che aveva portato con sé dal Marocco, all’apparenza una scatoletta arrugginita, “È vecchia ma preziosa, mi fa piacere che ce l’abbia tu”.Anche un’altra ragazza, originaria del Marocco come la precedente, le ha voluto fare un dono: le ha regalato un bicchiere in argento appartenente alla sua famiglia “Siccome tu non vieni a bere a casa mia, così è come se bevessimo insieme”. “Sono cose che gratificano più di una paga”, mi dice.Sebbene appartengano a un’altra religione, queste donne hanno un grande rispetto non solo di Rosanna, ma anche del “signor prete”, come sono solite chiamare il sacerdote, della fede cristiana e della Chiesa in quanto edificio sacro.

 

Per Rosanna il rispetto è stato sempre un valore fondamentale, in ogni ambito. Mi racconta un episodio: dopo la maturità scientifica suo padre le regalò un viaggio. Per alcune settimane fu ospite in Piemonte presso una famiglia sarda che aveva una figlia più o menodella stessa età di Rosanna, Lidia, con cui familiarizzò tantissimo, tanto da farle da testimone di nozze l’anno successivo. C’erano anche delle altre persone in ferie, e un giorno una le chiese “Si offende se la chiamo sardignola?”, un termine utilizzatospesso con accezione negativa, come se fosse un’offesa. Rosanna non si scompose, e replicò con un’educazione e una superiorità esemplare che se preferivano la potevano chiamare così, e che non si sarebbe offesa, perché lei era sarda, non sardignola. Avevano un’immagine distorta dei sardi e della Sardegna, arretrata. La mamma di una ragazza, addirittura, quando parlava con lei scandiva lentamente le parole, come se Rosanna non fosse in grado di comprendere l’italiano. C’era molta ignoranza, restavano sorpresi nel sapere che in Sardegna si facessero le stesse cose che si facevano “nel continente”, come studiare Montale e gli integrali nel programma ministeriale. Tutto questo faceva molto arrabbiare Rosanna. Il marito di Lidia sosteneva di voler andare in Sardegna solo dopo aver preso il porto d’armi. C’era una grande diffidenza, c’era la paura per i banditi, la Sardegna era conosciuta solo attraverso stereotipi e luoghi comuni. Qualche anno dopo, Lidia e suo marito Ferruccio decisero finalmente di venire in Sardegna (e lui aveva davvero la pistola!), e chiesero a Rosanna di essere ospitati, ma solo per un giorno: andarono al mare insieme, e quando rientrarono la mamma di Rosanna fece trovare la tavola imbandita con cibi tipici e prelibati. Gli ospiti rimasero sorpresi da questo atteggiamento, si chiedevano come mai fossero così ospitali con persone che quasi non conoscevano. Alla fine, quella vacanza che per diffidenza doveva durare solo un giorno, diventò un soggiorno di una settimana! Arrivato il giorno della partenza se ne andarono via in lacrime. “Pensa Rosanna, non piangiamo nemmeno quando dobbiamo salutare i parenti!” le dissero. Questo sì che è stato un esempio di integrazione.

Le chiedo di parlarmi ancora della sua attività di volontariato.

Grazie all’esperienza maturata alla facoltà di medicina, si offre di aiutare le persone che ne hanno bisogno con medicazioni e iniezioni. È un’attività a cui si dedica a tempo pieno, i cittadini che hanno necessità di una medicazione o di una puntura la contattano anche attraverso il sacerdote. Ci sono dei periodi in cui ha la giornata davvero piena, alcune volte le persone le chiedono la disponibilità anche per l’ora di pranzo, ma qualche volta deve dire di no perché ha bisogno di dedicarsi anche alla famiglia.Tra le sue numerose attività c’è anche quella di catechista. Dei 15 bambini che segue, non ce n’è uno che non partecipi volentieri: il catechismo è un appuntamento a cui i bambini non vogliono mai mancare, anche quando non stanno bene, perché al termine della lezione si fa la merenda, che Rosanna ha voluto inserire come momento di condivisione. Nei mesi scorsi, in cui l’attività si è dovuta necessariamente interrompere per via del Covid, ha ricevuto dei messaggi dai suoi bambini che le hanno scritto “Mi manchi Rosanna, mi mancano i nostri incontri”. Ogni anno, con i bambini più grandi, organizza una visita a una casa di accoglienza per anziani. Lo scorso anno l’incontro si è tenuto in occasione della festa dei nonni e qualche bambino, avendo perso i nonni, ha “adottato” uno degli anziani della casa di riposo. Insieme hanno preparato i dolci, hanno cantato, hanno condiviso la merenda: è stato un pomeriggio divertente per tutti, sia per i bambini che per gli anziani. Rosanna conserva ricordi bellissimi di quei pomeriggi, ma anche i suoi ragazzi. Dopo avere postato una foto del pomeriggio trascorso insieme agli anziani, ha ricevuto il messaggio di una sua ex allieva che ora è diventata una donna e fa l’infermiera. Il messaggio diceva “Rosanna, io ricordo ancora quando hai portato noi, è stato bellissimo. Ho iniziato proprio allora ad amare quello che sarebbe diventato il mio lavoro”. Fai un lavoro che ti piace e non lavorerai neanche un giorno della tua vita. Rosanna ha fatto di questa frase una regola.

 

Le chiedo com’èla sua vita adesso che i figli sono cresciuti e sono andati via di casa.

Mi dice che fa parte del corso naturale della vita che i figli, una volta adulti, taglino il cordone ombelicale. Anche se in realtà un vero distacco non c’è mai stato, perché nonostante Paolo sia a Milano, grazie alle nuove tecnologie lo sente quotidianamente e si sente come se dovesse arrivare da un momento all’altro. È felice per lui, perché sa che ha realizzato un sogno. Anna, la figlia minore, non abita lontano e si vedono spesso.Mi dice, con un pizzico di amarezza, che c’è una cosa che lei non è riuscita a fare con i suoi figli, a differenza di sua madre: la mamma di Rosanna faceva sentire ognuno dei figli come se fosse il preferito, e ognuno di loro era convinto che fosse lui quello “speciale”. Mi racconta del rapporto con Giovanna, sua sorella più grande di due anni, che è venuta a mancare poco tempo fa: non erano solo sorelle, erano grandi amiche. A volte capitava di discutere, come quando Giovanna voleva uscire a fare una passeggiata durante il weekend, ma Rosanna era stanca perché aveva passato tutta la settimana a Cagliari all’Università e preferiva stare a casa a riposare, e per questo si scontravano e si davano dell’egoista l’una con l’altra. Ma alla fine si arrivava semprea un compromesso. Nonostante avesse solo due anni in più di lei, Giovanna le aveva fatto da sorella maggiore: quando erano bambine, fu lei a confessarle il segreto che si celava dietro la figura di Babbo Natale e della Befana! Le feste natalizie si erano appena concluse, la scuola era riniziata da pochi giorni, e Giovanna, con una nota di delusione, disse alla sorellina più piccola “Devo confessarti una cosa: io sono rimasta sveglia tutta la notte, lo sai chi è la befana? Sono mamma, babbo e Pinuccia! Guarda la scrittura, è di Pinuccia!” Pinuccia era la sorella maggiore. Rosanna, davanti alle prove schiaccianti, fece un pianto disperato! E Giovanna, nonostante fosse anche lei molto piccola, sapeva che per Rosanna sarebbe stato un gran dispiacere e, nel tentativo di proteggerla, decise di non confessarglielo subito per non rovinarle le feste. “Non so dove terminava il rapporto di parentela e iniziava quello di amicizia”.

 

Le chiedo quale sia il suo rapporto con i nuovi mezzi di comunicazione.

Mi dice che, in un primo periodo, non si sentiva entusiasta all’idea di avere un cellulare, non solo non ne sentiva il bisogno, ma si rifiutava proprio di usarlo. Poi è stata stimolata un po’ dai figli e dai nipoti, e ora ne fa un uso quotidiano. Utilizza molto WhatsApp per tenersi quotidianamente in contatto con Paolo che è lontano e con il quale si vede tramite videochiamata. Lo usa per comunicare con il gruppo dei genitori del catechismo, con un gruppo di vendita per i prodotti per la casa, il gruppo delle catechiste e il gruppo famiglia. Ha anche una chat con i suoi vecchi compagni di classe delle scuole medie.Usa il telefono anche per informarsi sulla questione del Coronavirus nel mondo, sulla politica e sulle ultime scoperte scientifiche. “Documentarsi non fa mai male, non voglio restare indietro con i tempi!”Non piace l’idea che ci siano dei ragazzi, anche quelli che frequentano il catechismo con lei, che non siano informati sull’attualità e che non sappiano, ad esempio, chi è il capo di governo. Lei ritiene che se non ci si informa su certi argomenti, come la politica, non si è neanche in grado di esprimere la propria opinione a riguardo. Tra le 6 e le 7 di ogni mattina, quando ha un’ora da dedicare all’informazione, Rosanna utilizza il cellulare per ascoltare le sedute del parlamento, leggere articoli giornalistici o guardare videonotizie. Mi parla, anche in questa circostanza, dell’importanza del rispetto: il rispetto nei confronti di chi ha idee diverse, dal punto di vista politico o religioso, è la parola chiave per una convivenza civile.

 

Quale è il ruolo della tua generazione oggi? E quale messaggio vorresti lasciare ai giovani?

C’è una cosa che nota oggi nei ragazzi, ma anche negli adulti: l’intolleranza e la poca pazienza. Il rispetto delle regole non deve maivenire meno, anche di quelle più banali. E la chiave perché queste regole vengano rispettate è il dialogo, bisogna spiegare ai ragazzi il significato del rispetto. Ci sono delle regole che valgono sempre, e una di queste è il rispetto verso gli altri.“Quello che faccio io, nel mio piccolo, è cercare di dimostrare ai ragazzi, ma anche ai grandi, che siamo tutti uguali”.